Il modello teorico

Troppo spesso la psicologia viene interpretata ed esercitata come disciplina che riguarda il privato, approcciando il disagio mentale come se fosse un problema del singolo e riguardasse solo la sua interiorità.  

Quando la psicologia perde di vista la dimensione di salute pubblica e comunitaria, facendo della sofferenza mentale una faccenda solo personale e della terapia una questione di riallineamento a un “funzionamento normale e stabilizzato”, rischia di contribuire essa stessa alla stigmatizzazione e alla resistenza al cambiamento attraverso la riproposizione di quegli stessi schematismi culturali, riduzionisti e normativi, generativi del disagio.  

Secondo la visione ecologico-sociale e il modello teorico interazionista, la sofferenza mentale si definisce quale esperienza multidimensionale che si genera all’interno delle complesse dinamiche relazionali in cui la persona è immersa (fisiche e corporee, spirituali, sociali, ambientali, culturali) e attraverso gli articolati processi di costruzione dei significati dell’esperienza soggettiva. Il sintomo, spesso considerato “il problema”, ne è in realtà la sua espressione più emblematica e rappresenta una chiamata ad agire nello spazio delle relazioni nel tentativo di armonizzare il bisogno di riconoscimento e legittimazione della propria diversità e unicità con il bisogno di appartenenza.

Come insegnava Franco Basaglia, il disagio mentale è una condizione che emerge dalla “normalità” e, come tale, può essere compresa solo attraverso la lente interpretativa della normalità stessa e non secondo codici a sé stanti. Ho maturato a questo proposito una consapevolezza circa i limiti intrinseci dei sistemi di classificazione diagnostica più comunemente utilizzati per l’analisi del disagio emotivo e dei comportamenti problematici: la diagnosi psicopatologica scatta di fronte ad uno scollamento rispetto alla norma attesa, all’imprevedibilità o all’impossibilità di governare un comportamento e ci parla più della necessità di ripristinare la norma che dell’orizzonte di senso e significati generativo di quel disagio. E in genere, ciò che è “norma” è una soggettiva definita in base a ragioni di ordine sociale più che a ragioni umane e sanitarie.

Partire da premesse interpretative della sofferenza mentale diverse da quelle medicalizzanti e psichiatrizzanti, fondate sulla complessità intrinseca della persona e della sua relazione con il mondo e sul riconoscimento del rapporto fra disagio individuale e salute pubblica, comporta dunque un intervento terapeutico innovativo che apre a possibilità evolutive inattese e più libere. Quello che accade non è una guarigione da qualche malattia, ma la ripresa di un percorso di crescita fondato su uno scambio generativo e vitale con i propri contesti di vita, in cui si impara ad abitare la dimensione relazionale ed esistenziale in modo più consapevole, creativo e con un ritrovato senso di responsabilità.

Il modello teorico